Nell’ambito del percorso RESET promosso da Quintegia in collaborazione con Findomestic Banca stiamo raccogliendo alcune testimonianze di concessionari in relazione alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance con l’obiettivo di stimolare una contaminazione virtuosa e creare un circuito di racconto delle best practice.
Abbiamo intervistato Carlo Alberto Jura, Presidente di Spazio Group, uno dei principali gruppi del settore automotive presente con 24 sedi in Piemonte e Liguria in rappresentanza di 12 marchi.
La sostenibilità in senso lato sta diventando sempre più centrale per le aziende. Come vivete questo tema?
La sostenibilità è una scelta che abbiamo intrapreso da diversi anni e la stiamo declinando lavorando principalmente su tre fronti. Il primo è caratterizzato da una scelta ecologica: il nostro quartier generale di Via Ala di Stura è il più grande sistema di pannelli solari sui tetti del Piemonte permettendoci di risparmiare l’emissione di 450 tonnellate di CO2 grazie alla produzione autonoma di energia elettrica senza provocare inquinamento. Abbiamo fatto una scelta simile anche per la nuova sede Toyota Lexus, un building molto avveniristico dal punto di vista architettonico inaugurato nel settembre 2020 sempre nella nostra sede di Via Ala di Stura. Il secondo fronte su cui abbiamo puntato è il nostro territorio, considerato che noi operiamo in una zona di Torino storicamente degradata. Per questo abbiamo iniziato tempo fa una collaborazione con un parroco locale con l’obiettivo di riqualificare la nostra zona contribuendo alla costruzione di case per i senza tetto e di una mensa popolare. Si tratta di una sorta di partnership quotidiana in cui contribuiamo non solo con risorse economiche ma anche con scelte di tipo imprenditoriale, ragionando insieme sulle tipologie di progetti e le modalità di intervento. Il terzo punto che abbiamo sviluppato è un lavoro sugli spazi delle nostre strutture per renderli più verdi. Siamo partiti da una necessità di tipo paesaggistico, dato che le normative comunali prevedono una percentuale di aree verdi da avere all’interno della propria struttura, e abbiamo ad esempio adoperato dei pavimenti particolari e seminato l’erba nei nostri piazzali per rendere gli spazi più gradevoli per noi e i nostri collaboratori, così come per chi ci viene a visitare.
Lodevole quello che state facendo per l’impatto della CO2 e nei confronti del territorio, complimenti. In che misura, invece, state attuando delle scelte verso i vostri collaboratori?
Abbiamo cercato di agire su diversi fronti: in primo luogo l’anno scorso, nonostante la crisi, non abbiamo fatto fare cassa integrazione quasi a nessuno. Poi nella nostra struttura è presente un ristorante a prezzi modici che i nostri collaboratori possono utilizzare senza la necessità di doversi spostare per il pranzo. Ora stiamo rifacendo gli impianti di aerazione per garantire un ricambio d’aria molto più potente e favorire un maggiore confort e benessere fisico. Abbiamo anche tentato di diventare un centro vaccinale mettendo a disposizione la struttura per esigenze sociali, ma la burocrazia e altre incombenze non ci hanno permesso di portare avanti questo progetto.
Negli Stati Uniti c’è tipicamente un approccio diverso nel raccontare le proprie attività a favore del territorio, mentre in Italia facciamo più fatica, forse anche per un certo pudore, a raccontare le cose buone che facciamo. Un pensiero in merito?
Secondo me non sarà facile perché, anche se molti imprenditori intervengono attivamente nel loro territorio, esiste ancora una sorta di pudicizia data dalla mentalità italiana, ma credo che se ci lavoriamo, ci si può arrivare. Mi viene in mente quello che è successo con il progetto Green Pea di Oscar Farinetti: si vorrebbe sfruttare in vena commerciale il fatto che la gente si vanti di fare la raccolta differenziata e che si vergogni magari di sporcare il marciapiedi, tuttavia la sensibilità delle persone non è ancora così evoluta. Per cui vedo ancora un percorso lungo anche se ci stiamo avvicinando perché il mondo va in quella direzione, forse dovremmo contribuire a stimolare questo confronto tra best performer.
Aziende di grandi dimensioni, come ad esempio le case auto o le loro filiali, redigono e pubblicano un bilancio di sostenibilità. Questo risponde a una logica di trasparenza ma anche di stimolo in chiave di investitori e mercati. Questo tipo di reportistica entrerà di più nella vita delle aziende della distribuzione auto?
Secondo me sarebbe auspicabile, ma vedo ancora una grande distanza da parte delle case auto. Oggi secondo me ci sono due temi forti che coinvolgono il mondo della distribuzione: il primo è il concetto della disintermediazione della rete distributiva, perché questo è un po’ un fronte delicato per reti e case quanto a relazione e risvolti economici il terrore delle reti e la minaccia di alcune case visto il costo. Il secondo è la presenza proattiva sul territorio delle strutture distributive, in modo ecologicamente compatibile. Se noi siamo un punto di riferimento per il nostro territorio e facciamo del “bene”, questo contribuirà a mantenere presente la nostra posizione. Mi piace l’idea di un bilancio di sostenibilità anche per un concessionario perché in qualche modo contribuiamo alla comunità e al benessere di tutti e creare delle best practice può aiutare.
Può darsi che prossimamente vedremo elementi di tipo ecologico entrare tra i bonus variabili qualitativi?
Se le case auto scrivessero che tra i bonus marginali variabili rientrano questo tipo di caratteristiche sarebbe un salto in avanti, ma temo che siamo ancora indietro. Ciò di cui stiamo parlando oggi è qualcosa di nuovo all’interno del nostro settore rispetto al solito, perché ultimamente parliamo sempre di digitale dimenticandoci che ci sono dei temi anche più importanti su cui confrontarci. Il digitale è certamente il futuro ma è un mezzo, non il fine, mentre dobbiamo concentrarci anche su fini e obiettivi in relazione all’ecosistema di cui facciamo parte.