Cosa significa per lei la parità di genere?
Ritengo che la parità di genere non sia una questione matematica e non possa essere discussa in termini di quote percentuali. Per questo motivo secondo me quando si riflette su “quante donne siano presenti in un determinato settore o in una determinata azienda”, si sta approcciando la questione in un’ottica errata. La parità di genere è un tema principalmente valoriale, un obiettivo che potrà considerarsi raggiunto solo quando questo substrato culturale che attribuisce ai generi ruoli sociali e professionali definiti e prioritari, sarà definitivamente superato. Come ho spesso precisato in tante occasioni, sono fermamente convinta che questo cambiamento culturale potrà avvenire solo con una partecipazione attiva delle donne che, molto spesso, si collocano per scelta consapevole in ruoli/posizioni sociali in linea con le cosiddette attese comportamentali della nostra società.
Quanto possono incidere per una donna gli stereotipi di genere nello sviluppo del proprio percorso di carriera?
Oggi c’è grande attenzione intorno a questo tema, tuttavia quando una donna si avvicina ad una professione di tipo manageriale, o si trova in una situazione di potenziale avanzamento della propria carriera, nei suoi interlocutori, anche quando il focus sulle competenze è forte e prioritario, è altrettanto spontaneamente forte la riflessione, il dubbio sul fatto che questa donna sia in grado conciliare lavoro e famiglia, dedicando al lavoro tutta l’energia necessaria. Questo è un aspetto che non interviene mai nel caso in cui il candidato sia un uomo; però attenzione, è doveroso dire che spesso non si tratta di un pregiudizio di genere legato alle capacità, ma di una sorta di preoccupazione inconscia sul fatto che il mondo esterno, la nostra società, il contesto in generale le permetteranno di riservare al lavoro tutto il tempo e la dedizione necessari.
È comunque vero che ci sono difficoltà oggettive nel conciliare lavoro e famiglia, tema che riguarda prevalentemente le donne perché molto spesso la loro carriera è ritenuta secondaria rispetto a quella del marito o del compagno. Intervengono tuttavia anche stereotipi culturali diffusi, a volte quasi inconsapevoli, per cui una donna che si concentra anche sul proprio avanzamento professionale vive un po’ costantemente sotto esame: di fronte a colleghi e superiori insicuri della sua disponibilità e concentrazione, e da parte della società civile, che le giudica per la loro presunta errata interpretazione del ruolo familiare. Fortunatamente il mondo sta cambiando anche se non possiamo ancora parlare una totale parità sostanziale oltre che formale nello sviluppo dei percorsi professionali.
Sono state avviate azioni concrete sulla parità di genere all’interno della sua azienda?
Io mi ritengo fortunata perché lavoro in un gruppo che pone molta attenzione a questi temi, anzi per impostare correttamente il concetto, direi che il gruppo non considera il genere una discriminante nella valutazione della professionalità dei propri collaboratori e la posizione che occupo ne è una dimostrazione.
Il punto è proprio questo, ritengo che non sia una questione di intraprendere azioni per la parità di genere, ma agire quotidianamente affinché essa sia un fatto concreto e non un target formale da raggiungere. Ritengo che la migliore azione che un’azienda possa fare per perseguire l’obiettivo sia agire secondo una cultura di equità che i propri collaboratori percepiscano quotidianamente nell’ambiente lavorativo producendo così il cambiamento culturale naturale necessario perché la parità sia un fatto e non un obiettivo da raggiungere.